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Numerosi studi, realizzati nell’ambito di progetti o piani con diverse finalità generali, hanno valutato nel tempo, in Italia ed in Europa, la disponibilità di biomasse residuali dal settore agricolo (e, tra queste, le potature)  a diversa scala territoriale e con diversi livelli di approfondimento nella metodologia di stima, con risultati non sempre concordanti, anche quando riferiti al medesimo contesto territoriale.

L’inclusione di aspetti e fattori di valutazione di diverso carattere (tecnico, economico ed ambientale, oltre che agronomico), porta infatti alla definizione di una potenziale risorsa che assume sempre connotati diversi (figura 1). A partire dalla stima del potenziale teorico, ovvero la massima quota di biomassa residuale che si rende disponibile annualmente, sulla base di aspetti puramente agronomici, introducendo ulteriori fattori di valutazione, la quota effettivamente raccoglibile ed utilizzabile per usi energetici, può essere stimata da un punto di vista tecnico, economico ed ambientale, ed arrivare alla definizione di potenziali di biomassa che rappresentano dei sottoinsiemi di quello teorico (Bee, Biomass Energy Europe Project, 2010).

I fattori che determinano la quantità di biomassa potenzialmente disponibile sono, del resto, a loro volta numerosi e molto variabili. Tra questi, quelli che maggiormente incidono sulla produzione di biomassa, sono oltre alla specie, la cultivar, lo stadio di accrescimento, la densità di impianto, le pratiche agronomiche, le condizioni pedoclimatiche, le modalità di potatura; concorre inoltre alla definizione del potenziale teorico la conoscenza degli usi alternativi delle potature e competitivi rispetto a quello energetico, ovvero le destinazioni comuni di tali residui, quali l’utilizzo come combustibile aziendale, generalmente riservato alle potature di pezzatura maggiore, la bruciatura a bordo campo o la trinciatura ed interramento delle ramaglie.

Le considerazioni sull’efficienza dei sistemi di raccolta delle potature e sull’accessibilità ai campi, condizionata dalla densità di impianto, dalla viabilità, dalla eventuale presenza di terrazzamenti, consentono di stimare la quota del potenziale teorico raccoglibile da un punto di vista tecnico. L’introduzione di valutazioni di carattere economico sulla convenienza alla raccolta, trasformazione ed utilizzo, legata fondamentalmente alla dispersione dei residui di potatura sul territorio, alla distanza tra le aziende e alla bassa densità energetica di tali sottoprodotti, o il confronto con eventuali utilizzi alternativi più remunerativi, determinano un sottoinsieme ancora più ristretto rispetto a quello teorico, definibile come “potenziale economico”. Infine l’inclusione nella stima di aspetti ambientali, quali la valutazione dell’opportunità di reintegro di una quota di sostanza organica al suolo o l’esclusione dalla stima di aree oggetto di vincolo ambientale, restringe ulteriormente la portata del potenziale.

 Figura 1 – Rappresentazione schematica del diverso significato di potenziale

 

E’ evidente quindi quanto sia complessa una stima che tenga conto contemporaneamente di tutti questi aspetti, spesso legati a specificità dei diversi contesti territoriali e quindi valutabili soltanto nel caso di stime puntuali, mentre risulta percorribile il ricorso a parametri che mediano la variabilità di tali fattori quando si lavora su scala macro territoriale. Pertanto lo studio approfondito di alcune micro aree rappresentative del territorio nazionale ed europeo costituisce la chiave di lettura per la costruzione di un modello trasferibile su scala più ampia.

Recentemente sono stati realizzati due importanti studi su scala nazionale che hanno prodotto una stima aggiornata della disponibilità di biomasse residuali e, tra queste le potature, con un livello di dettaglio provinciale, realizzati nell’ambito del “Censimento del potenziale energetico nazionale delle biomasse” dell’ENEA e del “Progetto Biomasse” dell’ENAMA[1]. In entrambi gli studi è stata utilizzata la medesima metodologia, basata su quella proposta agli inizi degli anni 90 da AIGR[2] ed ENEA quando è stato realizzato il primo studio completo del potenziale energetico delle biomasse residuali in Italia. Elemento chiave di tale metodologia è l’impiego di indici che correlano la quantità di residui alle produzioni primarie delle diverse colture, come rapporto tra sottoprodotto e prodotto principale. L’utilizzo di appropriati indici, specifici per ciascun contesto territoriale, che prendono in considerazione la variabilità delle condizioni evidenziate precedentemente (specie, cultivar, caratteristiche pedoclimatiche, forme di governo, ecc.), consentono di stimare la quantità di biomassa residuale disponibile, attraverso la formula seguente:

B = S * R  *  I * (1- D) *  (1- U),

dove: S corrisponde alla superficie in produzione (ha); R rappresenta la produttività (t/ha); D costituisce la destinazione comune del residuo (%); U è l’umidità del residuo (%).

Fatta eccezione per il kiwi, le colture analizzate dai due studi sono sostanzialmente le stesse, mentre i relativi dati di superfici e produzioni, desunti dalla banca dati dell’ISTAT, sono riferiti al 2006, nello studio condotto dall’ENEA (Motola et al, 2009) e ad una media di quattro anni, dal 2006 al 2009, nel progetto realizzato dell’ENAMA (AA.VV., 2012) (tabella 1). L’ordine di grandezza delle due stime è confrontabile, con una marcata prevalenza dei residui di potatura nelle regioni meridionali. ENAMA stima una disponibilità di potature su tutto il territorio nazionale pari a circa 3,5 milioni di tonnellate, che sale nella stima ENEA a 4,9 milioni, valori in entrambi i casi espressi in termini di sostanza secca, avendo applicato specifici tenori di umidità alla raccolta per le diverse tipologie di potatura. Le differenze nei risultati ottenuti sono da attribuirsi alle differenti annate agrarie considerate e al differente utilizzo di parametri e indici di calcolo. Il potenziale calcolato dall’Enea tiene conto, inoltre, anche della biomassa di espianto che si rende disponibile a fine ciclo colturale, che però trova normalmente totale reimpiego come legna da ardere in azienda.

Tabella 1 – Disponibilità di potature negli studi realizzati da ENEA ed ENAMA

 

Censimento Nazionale Biomasse ENEA

Progetto Biomasse ENAMA

Anno/i di riferimento

2006

Media 2006-2009

Scala territoriale

Provinciale

Provinciale

Colture valutate

Olivo,vite, melo, pero, albicocco, ciliegio, pesco, nettarine susino nocciolo mandorlo, agrumi

Olivo, vite, melo, pero, albicocco, ciliegio, pesco, nettarina, susino, nocciolo, mandorlo, kiwi, agrumi

Biomassa valutata

Potature + espianti

Potature

Potenziale complessivo (kt/a s.s.)

4.906,4

3.446,2

Nord

  1. 057,9 (22%)

614,4 (18%)

Centro

645,3 (13%)

535,1(16%)

Sud

  1. 203,3(65%)
  2. 204,2 (64%)
 

 

Accanto alle due indagini citate, un’indicazione del potenziale complessivo nazionale più aggiornato è stata presentata nel corso del Convegno ”I sottoprodotti agroforestali e industriali a base rinnovabile”[3], organizzato nell’ambito del progetto “ExtraValore” del Mipaaf. Al 2011 si stima una disponibilità complessiva su tutto il territorio nazionale di circa 6 milioni di tonnellate di residui di potature (Colonna et. al, 2013).

Considerata la recente evoluzione del settore delle bioenergie e delle norme che regolano l’approvvigionamento e le caratteristiche delle biomasse, la valutazione di potenziali produttivi quanto più accurata possibile impone come punto di partenza la definizione del quadro delle produzioni legnose attualmente disponibili.

 

[1] Ente Nazionale per la Meccanizzazione Agricola (http://www.progettobiomasse.it)

[2] Associazione Italiana del Genio Rurale, oggi AIIA (Associazione Italiana di ingegneria Agraria)

[3] Università Politecnica delle Marche. Ancona, 26-27 settembre 2013

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