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La biomassa contribuisce in maniera sempre maggiore alla quota di energia primaria globale consumata e la sua importanza è destinata ad aumentare nei futuri scenari energetici mondiali. Il grande interesse verso le biomasse, ed in particolar modo nei confronti dei biocombustibili, è dovuto in gran parte alla richiesta globale di riduzione dalla dipendenza dai combustibili fossili e dalle emissioni di CO2. In aggiunta anche ragioni geopolitiche e socio-economiche sono state responsabili del crescente sviluppo di queste fonti energetiche. Inoltre, è ben noto che attualmente non esistono alternative tecnicamente praticabili ai biocarburanti liquidi, come fonti di energia rinnovabili per il trasporto, soprattutto quello pesante (es. trasporto merci, trasporto aereo). La crescente attenzione verso questi temi ha portato anche allo sviluppo di politiche che aprono alla possibilità di utilizzare i biocarburanti provenienti da paesi in via di sviluppo, per soddisfare gli obiettivi prefissati durante i Summit internazionali per la riduzione delle emissioni di CO2 globali (es. l’UNFCCC Clean Development Mechanism). Questi sviluppi hanno portato la comunità scientifica a interrogarsi sulla reale sostenibilità dei biocarburanti per il trasporto, rispetto ai convenzionali combustibili fossili. Diversi studi hanno infatti evidenziato le criticità e i rischi economici (es. protezionismi, sussidi, incremento dei prezzi agricoli), sociali (es. sicurezza alimentare, condizioni di lavoro) e ambientali (es. consumo delle risorse idriche, perdita della biodiversità, emissioni climalteranti), che queste nuove fonti energetiche comporterebbero. Alcune materie prime per la produzione dei biocarburanti sono state criticate nel dibattito “Food vs Fuel”, laddove colture tradizionalmente alimentari venivano impiegate per la produzione di biocarburanti liquidi (FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE UNITED NATIONS 2008). In questo dibattito ancora aperto, la Jatropha curcas L., qualora venisse coltivata in terreni marginali, rappresenta un’eccezione.

La jatropha infatti è un piccolo albero tropicale della famiglia delle Euphorbiaceae che produce frutti contenenti semi oleosi. L'olio ottenibile da questi ultimi non è adatto per il consumo umano o animale.  L’estrazione dell’olio è possibile attraverso tecnologie semplici, e può successivamente essere impiegato tal quale in motori Diesel di vecchia concezione o convertito in biodiesel ma può essere impiegato anche per la produzione del sapone. La pianta tollera bene la siccità e si adatta a crescere anche in terreni degradati o marginali, normalmente con un basso valore naturalistico e inadatti per la produzione alimentare. La capacità di produrre contemporaneamente biodiesel, bonificare i terreni dagli inquinanti e dall’erosione, e potenzialmente migliorare lo sviluppo socio-economico di aree rurali hanno portato negli anni grande popolarità alla jatropha, e ne hanno permesso una diffusione in grande scala nei paesi tropicali e sub-tropicali che rientrano nel suo areale di sviluppo. La jatropha è considerata per questo una pianta multifunzionale dalla quale è possibile ricavare interessanti sottoprodotti. Il panello proteico ottenuto durante l’estrazione dell’olio, può essere impiegato come fertilizzante o, dopo un trattamento che ne elimini la tossicità, può essere usato per l’alimentazione animale. Diverse parti della pianta hanno una valenza medicinale; nella corteccia è presente tannino e i fiori possono essere impollinati dalle api e potenzialmente produrre il miele. Maggiore attenzione dovrebbe essere data allo sfruttamento completo dei prodotti e servizi che la pianta ha da offrire. Tra questi il legno ottenibile dalle potature rappresenta un residuo non ancora adeguatamente studiato e che potrebbe rivelarsi una risorsa importante. In bibliografia infatti non sono disponibili molte informazioni riguardo alla valorizzazione del legno. Alcuni autori (KUMAR e SHARMA 2008, BENGE 2006) hanno indicato il legno di jatropha non adatto come combustibile ne tal quale perché con bassa densità e caratterizzato da una combustione troppo rapida, né sottoforma di carbonella perché economicamente non conveniente. Sebbene questi studi ne mettono in discussione un eventuale utilizzo per produrre energia, la potatura rappresenta una pratica comune della coltivazione della jatropha, finalizzata a migliorarne la gestione, promuovendo lo sviluppo di ramificazioni laterali e i centri di crescita per aumentarne la produttività. Considerando che in un ettaro possono essere impiantati fino a 2.500 alberi (GOUR 2006), la quantità di legno che può essere prodotta su un periodo di 6 anni ammonta ad oltre 20 t ha-1 (SOTOLONGO et al. 2.009). In aggiunta, è pratica comune capitozzare la pianta all’altezza di 45 cm ogni 10 anni per permetterne poi la ricrescita. Questa pratica mette a disposizione una notevole quantità di legno potenzialmente utilizzabile, di circa 80tss ha-1 ogni 10 anni. (JINGURA et al. 2012). Nel presente lavoro si è cercato di fare maggiore chiarezza sulle potenzialità legate all’impiego del legno di potatura di jatropha, partendo dall’analisi delle sue caratteristiche fisicochimiche. I campioni di legno di jatropha sono stati prelevati nel Novembre 2013, dai campi sperimentali del “Centre de Developpement de la Region de Tensift” (CDRT), situati nei pressi della città di Essaouira (Marocco), nell’ambito del progetto Jatromed (www.jatromed.aua.gr). Si sono quindi individuate le criticità della biomassa e proposte azioni che potrebbero far rivalutare una risorsa attualmente non sfruttata.

Le analisi sono state eseguite presso il laboratorio per la caratterizzazione chimico fisica della biomassa del CRA-ING di Monterotondo (Roma) su un totale di 40 campioni prelevati in modo randomizzato da 20 piante di due anni di età, della varietà Mali, costituiti da branche primarie intere di diametro medio di 2,5 cm nella parte basale e 0,8 cm nella parte apicale. Le piante di jatropha in presenza di stress idrici o termici tendono a perdere le foglie per poi ricrearle durante l’inizio della stagione calda; in questo studio sono stati caratterizzati rami aventi ancora le foglie, le quali sono state analizzate a parte.

I rami raccolti sono stati tagliati in tre parti: zona basale, intermedia e apicale, e per ognuna sono state valutate:

- contenuto di umidità;

- potere calorifico superiore (PCS);

- contenuto in ceneri;

- fusibilità delle ceneri;

- analisi elementare.

Contenuto di umidità

Il contenuto di umidità dei campioni è stato determinato in accordo alla normativa UNI EN 14774-2. I campioni pesati, sono stati messi in stufa alla temperatura di 105±2°C e lasciati per 24 ore, fino a completo essiccamento del materiale.

Potere calorifico superiore

La determinazione del potere calorifico è stata effettuata con calorimetro “PARR 6400” in base alla normativa UNI EN 14918, su campioni di pezzatura massima pari ad 1 mm secondo quanto previsto dalla normativa.

Contenuto di ceneri

La determinazione del contenuto di ceneri è stata effettuata in base alle linee guida della normativa UNI EN 14775, su campioni di pezzatura massima pari ad 1 mm secondo quanto previsto dalla normativa. I crogioli contenenti il campione sono stati scaldati in forno innalzando la temperatura di 7,5°C al minuto fino a 250°C e lasciati a tale temperatura per 1 ora. Poi è stata aumentata la temperatura di 10°C al minuto fino a 550°C per 120 minuti.

Fusibilità delle ceneri

La fusibilità delle ceneri è stata valutata in accordo alla normativa UNI CEN/TS 15370-1 con fornace “SHV 1550”. Il campione di cenere dalla pezzatura di massimo 0,075 mm è stato compresso in uno stampo in modo da formare pastiglie cilindriche di 3-5 mm di altezza e uguale diametro. La fornace è in grado di raggiungere la temperatura di 1.600°C ed è dotata di videocamera che misura le temperature di deformazione delle ceneri (di inizio, deformazione, emisferica e fluida) in accordo con le vigenti normative.

Analisi elementare

La determinazione del contenuto totale di carbonio, idrogeno, azoto e zolfo è stata effettuata con analizzatore elementare “COSTECH” in base alla normativa UNI EN 15104. I campioni della pezzatura di massimo 1 mm sono stati pesati con una accuratezza dell’ordine di 10-6 g in microbilancia “Mettler Toledo”. Il contenuto di ossigeno è stato determinato per differenza.

RISULTATI E DISCUSSIONI

L’umidità del legno può variare in funzione delle caratteristiche del tipo di legno, del periodo di taglio, del tempo di stoccaggio e delle condizioni climatiche. L’umidità influenza tutte le caratteristiche fisiche, meccaniche, tecnologiche ed incide negativamente sia sulla pulizia delle caldaie sia sulla resa energetica (condense acide, fouling, sludging ecc.). Essa infatti diminuisce il potere calorifico della biomassa, a causa dell’energia termica dispersa per far evaporare l’acqua, che viene stimata in 2,4 MJ Kg-1. Nel caso del legno di jatropha il contenuto di umidità è risultato estremamente alto.

Sezioni analizzate

Umidità (%)

PCS

(MJ Kg-1)

Contenuto di ceneri (%)

Ramo

 

 

 

zona basale

73,4

16,3

7,8

zona intermedia

77,4

16,0

8,2

zona apicale

84,6

16,4

9,2

Foglie

 

 

 

zona basale

74,0

18,0

12,8

zona intermedia

78,6

18,1

12,2

zona apicale

75,8

18,1

11,8

Per ridurre il contenuto di umidità nella biomassa destinata alla conversione termochimica, si potrebbe effettuare una raccolta in due tempi delle potature, che preveda l’essiccazione in campo delle piante tagliate fino al raggiungimento dell’umidità necessaria per lo stoccaggio o successivo trattamento.

Negli areali di diffusione della jatropha (tropicali e sub-tropicali), i residui di potatura potrebbero essere lasciati in andana, per essere poi raccolti ad essiccazione avvenuta, e in concomitanza con la raccolta dei frutti. Il potere calorifico superiore rappresenta la quantità di energia termica sviluppata dalla combustione di un kg di sostanza secca (a pressione atmosferica considerando nel prodotto della combustione l’acqua allo stato liquido a 15°C). Nel caso della jatropha il PCS ha un valore più basso rispetto a quello di specie arboree normalmente utilizzate per produrre energia (Tabella 1). Nelle biomasse legnose i valori del potere calorifico non variano molto e sono compresi tra 18 e 19 MJ Kg-1. Ciò che incide maggiormente ad innalzare tale valore è la componente di lignina che rispetto agli altri composti del legno ha un potere calorifico più elevato (lignina 26,5 MJ Kg-1, cellulosa 17,5 MJ Kg-1 ed emicellulosa 16 MJ Kg-1). Anche la presenza di resine e di sostanze minerali contenute nelle cellule vegetali possono influire sul potere calorifico. Dalle analisi risulta come il PCS medio delle foglie sia più elevato rispetto ai rami. Tale risultato può essere spiegato dal fatto che nelle foglie è presente un maggiore contenuto di estrattivi rispetto al legno. La resa energetica di una biomassa può essere condizionata negativamente anche dalla presenza di un alto contenuto di ceneri. Il contenuto di cenere rappresenta il materiale inorganico che rimane dopo la combustione del campione. I dati ottenuti dall’analisi della combustione dei rami di jatropha (Tabella 1) hanno mostrato un contenuto in ceneri medio dell’8,4%. Anche questo parametro risulta maggiore rispetto ai valori ottenibili dalle biomasse legnose normalmente impiegate per la produzione di energia (0,7-1,4%) (SENELWA e SIMS 1999) ma compatibile con quello di colture erbacee o residui utilizzati per lo stesso scopo (2,2-8,2%) (MANTINEO et al. 2009). Le foglie di jatropha hanno prodotto un elevato quantitativo di cenere (valore medio di 12,3%). L’aumento della quantità di cenere influenza negativamente il potere calorifico poiché rappresenta quella frazione del legno che rimane incombusta (DEMIRBAS 1997) e inoltre influisce sulle prestazioni in caldaia. Infine incide anche sui costi di gestione dell’impianto poiché a un elevato contenuto di cenere corrisponderà più materiale da smaltire come rifiuto speciale. Va però considerato che la cenere contiene importanti quantitativi di potassio e fosforo che potrebbero essere riutilizzati come fertilizzante per restituire al terreno i sali che sono stati sottratti dalla pianta nel momento della crescita; esistono infatti già dei progetti sperimentali per il suo riutilizzo. Durante il processo di combustione, la cenere subisce delle modificazioni chimico-fisiche che portano ad una deformazione, fino ad arrivare ad una completa fusione delle particelle che la costituiscono. La valutazione della temperature di fusibilità delle ceneri, risulta un parametro molto importante da indagare, in quanto combustibili con basse temperature di fusione, aumentano i rischi per l’impianto come la formazioni di scorie, incrostazioni, corrosioni della caldaia e depositi di cenere fusa a livello degli scambiatori di calore. I problemi dovuti ai depositi sulla caldaia si distinguono in slagging e fouling. Il primo indica particelle di cenere fusa che si accumulano alle pareti della caldaia, mentre il fouling indica vapori inorganici che si condensano sulle superfici più fredde dell’impianto. Sono entrambi correlati alla facilità della cenere di fondere a basse temperature. La temperatura di fusione delle ceneri è influenzata dalla sua composizione; elementi quali calcio e magnesio aumentano la temperatura di fusione, mentre potassio e sodio la abbassano. Elevate temperature di fusibilità delle ceneri di biomassa legnosa sono quindi indispensabili per aumentare la resa dell’impianto e ridurre i costi di manutenzione. Le temperature di fusione delle ceneri osservate per i campioni di jatropha, sono risultate superiori a 1.600°C, sia per i rami che per le foglie, aspetto che rende il legno di jatropha adatto per essere utilizzato in caldaia, preservando gli impianti dai fenomeni di slagging e fouling già indicati (Foto 2). È stata inoltre effettuata un’analisi elementare (CHNS) per conoscere la composizione di carbonio, idrogeno, azoto e zolfo contenuti nel legno.

 

C

H

N

S**

O*

Ramo

 

 

 

 

 

zona basale

47,32

17,04

2,42

-

33,22

zona intermedia

47,08

17,47

2,28

-

33,17

zona apicale

40,35

10,56

1,26

-

47,83

Foglie

 

 

 

 

 

zona basale

39,52

10,64

3,59

-

46,25

zona intermedia

43,13

12,02

4,13

-

40,72

zona apicale

42,18

9,56

3,57

-

44,69

Carbonio, idrogeno e ossigeno sono i costituenti principali delle biomasse legnose e le loro relative concentrazioni variano col tipo di legno. Il carbonio (C) è il componente che contribuisce maggiormente all’innalzamento del potere calorifico ed è correlato alla presenza di cellulosa, emicellulosa e lignina, quest’ultima come già detto, ha un PCS maggiore rispetto alle prime due componenti (TODARO et al. 2006). Il contenuto medio di carbonio dei rami e delle foglie di jatropha sono risultati rispettivamente pari al 45% e 42%. I valori tipici per le biomasse sono compresi tra il 44% ed il 50% (AIEL e ARSIA 2009). Anche il contenuto di idrogeno (H) è correlabile alla resa energetica infatti sia C che H, durante la combustione, formano CO2 ed H2O con reazioni esotermiche che determinano l’innalzamento del potere calorifico. Il contenuto di azoto (N) nei biocombustibili è abbastanza basso con valori normalmente inferiori all’1%, mentre risulta particolarmente elevato nei cereali e nelle oleaginose dove può raggiungere il 5% (TODARO et al. 2006). Per quanto riguarda i campioni di jatropha il contenuto in azoto riscontrato nei rami è intorno al 2%, mentre nelle foglie il valore sale fino al 3,7%, probabilmente per una maggiore concentrazione di proteine (VIDRICH 1988). Durante la combustione l’azoto è convertito in N2 gassoso ed in piccola parte si ossida generando NOx; le emissioni di questi ultimi rappresentano il principale problema di contaminazione ambientale dovuto alla combustione della biomassa legnosa. Infine la presenza di zolfo (S) può portare alla formazione degli SOx con dannosi effetti corrosivi sull’impianto, nonché emissioni nocive nell’ambiente. Nei campioni di jatropha analizzati non sono state riscontrate tracce di zolfo per valori superiori ai 500 ppm (limite di sensibilità dello strumento). Dai risultati fin qui ottenuti si può evidenziare che l’umidità alla raccolta, il modesto potere calorifico e l’elevato contenuto in ceneri, sembrerebbero supportare le considerazioni già riportate da BENGE nel 2006 secondo cui il legno di jatropha non sarebbe adatto come combustibile tal quale, ne tantomeno sottoforma di carbonella perché il processo di trasformazione risulterebbe antieconomico. Sebbene una logistica finalizzata alla riduzione del contenuto di umidità (raccolta del prodotto in due tempi) e al reimpiego delle ceneri come fertilizzante potrebbe in ogni modo risolvere le problematiche legate a questi due parametri. Infine, per aumentare la quantità di energia per unità di volume, si potrebbe prevedere la concentrazione energetica del materiale tramite pellettizzazione, anche attraverso l’impiego di cantieri mobili di pellettizzazione già proposti da TOSCANO (2013) per il riutilizzo energetico dei sottoprodotti agricoli (agri-pellet). Tramite la pellettizzazione si può ottenere un aumento della massa volumica del prodotto pellettizzato, fino anche a 10-15 volte rispetto alla matrice di partenza, migliorando significativamente la movimentazione della biomassa, la resa energetica e i costi (TOSCANO 2013). I costi di trasporto si abbassano anche come conseguenza del minor contenuto di umidità del pellet (8%-13%). Infine, la combustione del residuo pellettizzato sarà nettamente superiore da un punto di vista energetico e ambientale, rispetto alla biomassa originale. Il potere calorifico del pellet di legno può variare tra 17,6 MJ kg-1 e 20,8 MJ kg-1 e nel caso di pellet di legni tropicali il PCS medio è di 19,9 MJ kg-1 (TELMO e LOUSADA 2011). Infine, l’elevata temperatura di fusibilità delle ceneri risultanti dalla combustione, rappresenta una caratteristica tecnica di grande importanza anche per l’impiego in impianti per la produzione di energia di medie e grandi dimensioni.

CONCLUSIONI

Secondo le analisi chimico-fisiche effettuate sui residui di potatura (legno e foglie) della Jatropha curcas, L., si ritiene che questi potrebbero rappresentare una risorsa impiegabile per la produzione di energia. La biomassa legnosa residuale analizzata presenta caratteristiche simili a quella di colture erbacee già sfruttate come combustibili. Attuando adeguati accorgimenti tecnico-logistici si potrebbero migliorarne le caratteristiche: prima tra tutte l’abbassamento del contenuto di umidità, attraverso una raccolta in due tempi del prodotto, mentre le ceneri generate in fase di combustione potrebbero essere reimpiegate come fertilizzante. Attraverso un processo di pellettizzazione si potrebbe aumentare il potere calorifico del legno di jatropha riducendone anche i costi legati allo stoccaggio. Inoltre, l’elevata temperatura di fusibilità delle ceneri del legno della pianta, rappresenta una caratteristica tecnica di grande importanza, che potrebbe permettere di migliorare le proprietà di un agri-pellet ottenuto da residui agricoli di diversa natura, caratterizzati da temperature di fusibilità delle ceneri più basse. Futuri studi dovrebbero valutare la sostenibilità economica dell’intera filiera e la potenziale vendita del prodotto nei mercati occidentali dove la richiesta di pellet è in continuo aumento. A causa del più alto contenuto in azoto presente nella biomassa rispetto ad altre colture energetiche, saranno necessari ulteriori approfondimenti per verificare la quantità di NOx generati durante la fase di combustione.